Il comunismo è e rimane l'unica prospettiva di superamento positivo della società capitalistica. Ma quest'ultima, malgrado le sue traversie, pare divenuta un orizzonte insuperabile, e le forze protese al suo abbattimento sono oggi ridotte alla clandestinità e alla dispersione, se non al disorientamento. L'epoca del movimento operaio tradizionale, delle transizioni socialiste e dei loro programmi si è da tempo conclusa. Il patrimonio delle lotte e delle correnti teoriche del passato richiede un riesame profondo per separare ciò che è vivo da ciò che è morto. Il rapporto intercorrente tra le lotte quotidiane del proletariato, i movimenti interclassisti di massa dell'ultimo decennio e la rottura rivoluzionaria possibile appare più enigmatico che mai. La teoria comunista richiede nuovi sviluppi, per essere restaurata nelle sue funzioni. La necessità di affrontare questi nodi ci interpella in prima persona, come dovrebbe interpellare tutti i sostenitori del «movimento reale che abolisce lo stato di cose presente». I nostri mezzi sono a misura alle nostre forze: modesti. Impossibile in queste condizioni pretendere di essere i fautori unici e infallibili di una rifondazione teorica che arriverà a maturità solo in un futuro non prossimo. Ma è solo iniziando a camminare che si cominciano a tracciare strade percorribili.

lunedì 2 dicembre 2013

“Anzola è il mondo?” Una risposta al SI Cobas

Il Lato Cattivo & C.  

Cari compagni/e, 

abbiamo letto la risposta al nostro Anzola è il mondo?, apparsa sul Vostro sito web e significativamente intitolata Come mosche sulla merda. Quel che ne abbiamo ricavato, di primo acchito, è un moto di fastidio; fastidio dovuto non tanto, come qualcuno potrebbe pensare, a una nostra ipotetica idiosincrasia per la critica e l’invettiva che ci vengono rivolte (lungi da noi!); ma piuttosto suscitato dall’impressione che la «prima lettura» del nostro opuscolo da parte dell’autore o degli autori di questa risposta, sia stata alquanto frettolosa, per non dire offuscata dal pregiudizio – meglio, da una certa forma mentis – che li ha indotti a inanellare una lunga sfilza di fraintendimenti. Ma procediamo con ordine.
Come prima cosa, e a scanso di equivoci, è bene chiarire che i principali autori del testo in questione sono un disoccupato, un operatore socio-sanitario e un’educatrice; proletari tra i proletari, i cui salari (quando hanno la fortuna di riceverne uno) sono abbastanza simili a quelli dei facchini che hanno in tasca la tessera del SI Cobas. Ma certo, per aver letto un pochino Marx, per essersi presi il tempo di riflettere e scrivere un testo di 48 pagine, costoro non potevano essere che degli «intellettuali» e dei «piccolo-borghesi»! Si sa: gli operai non hanno tempo per pensare! Ci torneremo sopra.
Veniamo dunque a quello che scrivono – in buona o in malafede – gli autori di Come mosche sulla merda, e confrontiamolo con la realtà. [...]
 
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