Il comunismo è e rimane l'unica prospettiva di superamento positivo della società capitalistica. Ma quest'ultima, malgrado le sue traversie, pare divenuta un orizzonte insuperabile, e le forze protese al suo abbattimento sono oggi ridotte alla clandestinità e alla dispersione, se non al disorientamento. L'epoca del movimento operaio tradizionale, delle transizioni socialiste e dei loro programmi si è da tempo conclusa. Il patrimonio delle lotte e delle correnti teoriche del passato richiede un riesame profondo per separare ciò che è vivo da ciò che è morto. Il rapporto intercorrente tra le lotte quotidiane del proletariato, i movimenti interclassisti di massa dell'ultimo decennio e la rottura rivoluzionaria possibile appare più enigmatico che mai. La teoria comunista richiede nuovi sviluppi, per essere restaurata nelle sue funzioni. La necessità di affrontare questi nodi ci interpella in prima persona, come dovrebbe interpellare tutti i sostenitori del «movimento reale che abolisce lo stato di cose presente». I nostri mezzi sono a misura alle nostre forze: modesti. Impossibile in queste condizioni pretendere di essere i fautori unici e infallibili di una rifondazione teorica che arriverà a maturità solo in un futuro non prossimo. Ma è solo iniziando a camminare che si cominciano a tracciare strade percorribili.

venerdì 28 febbraio 2014

Ultrasinistra e negazionismo

Anonimo

Il negazionismo persegue il camuffamento sistematico del genocidio perpetrato dai nazisti, nel momento stesso in cui essi lo compiono. A Sobibor, campo di pura e semplice messa a morte in massa, i nazisti avevano inizialmente sepolto i cadaveri in alcune fosse, ma le riaprirono per bruciare le prove del crimine. Si vede chiaramente che la negazione del genocidio, e in particolare la negazione dell'esistenza delle camere a gas, non fu una trovata post festum e tardiva, ma fu attuata tale e quale sin dall’inizio. Le camere a gas sono esistite, lo sterminio degli ebrei fu una necessità funzionale per la Germania nazista nella sua guerra all'Est (decisione allora estesa a tutte le zone occupate). Che il capitale – nel compimento del suo passaggio al dominio reale, nel corso della Seconda Guerra mondiale, nell’area europea centrale ed orientale – abbia prodotto lo sterminio degli ebrei, non ha, per qualsiasi analisi del modo di produzione capitalistico, alcunché di inspiegabile: compimento della formazione degli Stati-nazione; eliminazione delle fedeltà intermedie a comunità particolari in opposizione alla comunità astratta del cittadino; universalizzazione dell'individuo della società civile nel proprio rapporto allo Stato; eliminazione di un proletariato refrattario e in parte organizzato sulla base di questa particolarizzazione comunitaria; concorrenza all'interno della piccola borghesia; eliminazione della particolarizzazione della circolazione del capitale-denaro etc. Tutto questo, organizzato in un razzismo di Stato.

giovedì 27 febbraio 2014

Il sionismo, aborto del movimento operaio

«Le Brise-Glace» (1989)

Fino alla propagazione del modo di produzione capitalistico nel XVIII secolo, gli ebrei restavano, nella regione euro-mediterranea, una delle rare comunità precapitalistiche ad essere sopravvissute al loro spostamento geografico. Questa comunità aveva potuto mantenersi così a lungo facendosi l'agente sociale della circolazione delle merci e del denaro nella società feudale europea, dove tale circolazione costituiva una base esteriore al processo di produzione precapitalistico. È poggiando su questa base che gli ebrei avevano potuto mantenere – come un'isola, indubbiamente precaria, in mezzo alla società circostante – la loro vita comunitaria, con la sua organizzazione interna relativamente autonoma.
Quando il capitalismo divenne il modo di produzione dominante in Europa, l'ora della comunità ebraica era suonata. Permeando ormai tutta la società, il valore vi perdeva la sua posizione esteriore rispetto al processo di produzione. Gli ebrei vedevano dissolversi, contestualmente, la condizione materiale della loro riproduzione in quanto comunità separata dalla società. 

venerdì 7 febbraio 2014

L’insurrezionalismo come una delle espressioni della dinamica del ciclo di lotte attuale

Amer Simpson

[Il testo che segue, originariamente pubblicato in francese su dndf.org, è la risposta a un articolo apparso sul sito spagnolo comunizaciòn.org nel giugno 2011, con il titolo Una vez màs: debate sobra la comunizaciòn. Entrambi i testi furono pubblicati, in traduzione italiana, sul n. 1 de “Il Lato Cattivo” (Un dibattito sull’insurrezionalismo). Il titolo è redazionale.]

La corrente insurrezionalista è una produzione teorica allo stesso titolo dell'insieme degli altri atti e discorsi che sono prodotti dal corso quotidiano della lotta di classe. Infatti, è la lotta a produrre la sua teoria, attraverso l'insieme delle pratiche che cercano di rispondere a una situazione particolare, all'interno di una congiuntura che detta il ritmo della lotta stessa. La produzione capitalistica produce storicamente il proprio superamento, ma lo produce in quanto pluralità di lotte disperse dentro le categorie del capitale, essendo ciascuna il contenuto della fase attuale della lotta di classe. Le lotte sono dunque teoriche: sono esse che producono l'insieme dei contenuti che le differenti correnti ideologiche traducono in maniera più o meno adeguata. Nessuno è in grado di fornire una risposta complessiva, ma soltanto una risposta adeguata ad alcuni problemi particolari sulla base di una prospettiva generale. In queste condizioni, tutti hanno qualcosa da dire, poiché tutti si confrontano con la medesima situazione a partire da posizioni differenti. Ecco perché la corrente insurrezionalista è coinvolta e messa a confronto con le lotte tanto quanto la corrente comunizzatrice. [...]

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