Il comunismo è e rimane l'unica prospettiva di superamento positivo della società capitalistica. Ma quest'ultima, malgrado le sue traversie, pare divenuta un orizzonte insuperabile, e le forze protese al suo abbattimento sono oggi ridotte alla clandestinità e alla dispersione, se non al disorientamento. L'epoca del movimento operaio tradizionale, delle transizioni socialiste e dei loro programmi si è da tempo conclusa. Il patrimonio delle lotte e delle correnti teoriche del passato richiede un riesame profondo per separare ciò che è vivo da ciò che è morto. Il rapporto intercorrente tra le lotte quotidiane del proletariato, i movimenti interclassisti di massa dell'ultimo decennio e la rottura rivoluzionaria possibile appare più enigmatico che mai. La teoria comunista richiede nuovi sviluppi, per essere restaurata nelle sue funzioni. La necessità di affrontare questi nodi ci interpella in prima persona, come dovrebbe interpellare tutti i sostenitori del «movimento reale che abolisce lo stato di cose presente». I nostri mezzi sono a misura alle nostre forze: modesti. Impossibile in queste condizioni pretendere di essere i fautori unici e infallibili di una rifondazione teorica che arriverà a maturità solo in un futuro non prossimo. Ma è solo iniziando a camminare che si cominciano a tracciare strade percorribili.

giovedì 31 gennaio 2013

Dall'autorganizzazione alla comunizzazione

R.S.

Designare la rivoluzione come comunizzazione è dire questa cosa abbastanza banale, che l'abolizione del capitale è l'abolizione di tutte le classi, compreso il proletariato, e non la sua liberazione, il suo ergersi a classe dominante che organizza la società secondo i propri interessi. È dire che l'abolizione dello scambio, della divisione del lavoro, della merce, della proprietà, dello Stato, delle classi, non sono delle misure da prendersi dopo la vittoria della rivoluzione, ma le sole misure attraverso le quali la rivoluzione può trionfare. È dire, inversamente, che non c'è “periodo di transizione”. Il proletariato non fa la rivoluzione per instaurare il comunismo, ma attraverso l'instaurazione del comunismo. In questo, tutte le misure della lotta rivoluzionaria saranno misure di comunizzazione. Al di qua, non vi è che la società attuale. Le sconfitte delle rivoluzioni tedesca e spagnola ne sono la triste verifica.

venerdì 11 gennaio 2013

"Il movimento comunista": introduzione

Jean Barrot (1972)

Il marxismo conosce nuovi progressi ad ogni riemersione pratica del movimento (1871, 1917), ma questo sviluppo non è che una parte del suo ciclo. La teoria del movimento comunista nasce, come si è visto, da condizioni particolari, in seguito lo sviluppo del capitale la manda in pezzi nello stesso momento in cui distrugge la classe in quanto tale. È la fase della revisione dottrinale, dell'integrazione al movimento del capitale, alle quali non si oppongono che affermazioni teoriche e pratiche unilaterali, certo importanti, e vitali per il movimento (nella misura in cui testimoniano della sua vita, e non in cui gli donerebbero vita come tali: ma le correnti radicali non possono allora operare che tramite questa inversione, e prendere se stesse per il motore della storia). Ma simili affermazioni esprimono ancora una frammentazione. Una situazione nuova non può essere prodotta che quando il capitale inizia ad incontrare il termine del suo ciclo, facendo così apparire alla luce del giorno le sue contraddizioni economiche (meccanismo di estrazione del plusvalore) e dunque sociali (proletariato/capitale). Ben inteso, la manifestazione delle sue contraddizioni è profondamente differente dalle forme che assumeva all'inizio del ciclo. La teoria comunista può iniziare a fare la sintesi dei suoi concetti essenziali. Questo processo di “totalizzazione” include naturalmente l'analisi dei fenomeni nuovi più importanti, ma solamente sulla base della comprensione dei punti essenziali. La teoria comunista non è semplicemente una totalità, ma anche un tutto gerarchizzato.