Il comunismo è e rimane l'unica prospettiva di superamento positivo della società capitalistica. Ma quest'ultima, malgrado le sue traversie, pare divenuta un orizzonte insuperabile, e le forze protese al suo abbattimento sono oggi ridotte alla clandestinità e alla dispersione, se non al disorientamento. L'epoca del movimento operaio tradizionale, delle transizioni socialiste e dei loro programmi si è da tempo conclusa. Il patrimonio delle lotte e delle correnti teoriche del passato richiede un riesame profondo per separare ciò che è vivo da ciò che è morto. Il rapporto intercorrente tra le lotte quotidiane del proletariato, i movimenti interclassisti di massa dell'ultimo decennio e la rottura rivoluzionaria possibile appare più enigmatico che mai. La teoria comunista richiede nuovi sviluppi, per essere restaurata nelle sue funzioni. La necessità di affrontare questi nodi ci interpella in prima persona, come dovrebbe interpellare tutti i sostenitori del «movimento reale che abolisce lo stato di cose presente». I nostri mezzi sono a misura alle nostre forze: modesti. Impossibile in queste condizioni pretendere di essere i fautori unici e infallibili di una rifondazione teorica che arriverà a maturità solo in un futuro non prossimo. Ma è solo iniziando a camminare che si cominciano a tracciare strade percorribili.

martedì 2 maggio 2017

«Il Lato Cattivo» n. 2 è on-line

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   «[...] Diciamo, in primo luogo, che il periodo giusto a ridosso della crisi del 2008, aveva suscitato, in noi come in molti altri, delle aspettative che si sono rivelate essere frutto di un fraintendimento. Se le rivolte nelle banlieues francesi del 2005, il collasso economico del 2008, il movimento greco del dicembre dello stesso anno (per restare agli eventi più eclatanti), potevano lasciar presagire non solo un approfondimento fulmineo dell'antagonismo fra proletariato e classe capitalista, ma soprattutto una semplificazione di questo antagonismo – i proverbiali nodi che vengono al pettine – il seguito non è andato propriamente in questo senso. Quando andammo in stampa, all'inizio del 2012, la «magagna» era già visibile, ma non ancora così esplicita; oggi, ha assunto dimensioni mastodontiche, e sarebbe assurdo far finta di niente. La serie iniziata nel 2009 con l'onda verde iraniana è stata effettivamente densissima: Occupy, Indignados, Québec, Primavere Arabe, Turchia, Brasile, Bosnia, fino ad arrivare alla più recente Umbrellas Revolution di Hong Kong; collateralmente (e in rapida successione): EuroMaidan e lo scoppio della guerra russo-ucraina, i quattro milioni di francesi scesi in piazza per la manifestazione Je suis Charlie, la vittoria di Syriza in Grecia, l'ascesa di Podemos in Spagna, la «crisi dei migranti», la recentissima apparizione del movimento Nuit Debout ancora in Francia. In appendice: la collisione tra lo Stato Islamico e la sedicente «rivoluzione in marcia» nel Rojava, col successivo intervento della coalizione internazionale. Una serie estremamente eterogenea, con al centro un solo ed inaspettato attore protagonista il cui nome, per gli odierni «sovversivi», è tabù: la classe media.» [Dall'Editoriale]