Il comunismo è e rimane l'unica prospettiva di superamento positivo della società capitalistica. Ma quest'ultima, malgrado le sue traversie, pare divenuta un orizzonte insuperabile, e le forze protese al suo abbattimento sono oggi ridotte alla clandestinità e alla dispersione, se non al disorientamento. L'epoca del movimento operaio tradizionale, delle transizioni socialiste e dei loro programmi si è da tempo conclusa. Il patrimonio delle lotte e delle correnti teoriche del passato richiede un riesame profondo per separare ciò che è vivo da ciò che è morto. Il rapporto intercorrente tra le lotte quotidiane del proletariato, i movimenti interclassisti di massa dell'ultimo decennio e la rottura rivoluzionaria possibile appare più enigmatico che mai. La teoria comunista richiede nuovi sviluppi, per essere restaurata nelle sue funzioni. La necessità di affrontare questi nodi ci interpella in prima persona, come dovrebbe interpellare tutti i sostenitori del «movimento reale che abolisce lo stato di cose presente». I nostri mezzi sono a misura alle nostre forze: modesti. Impossibile in queste condizioni pretendere di essere i fautori unici e infallibili di una rifondazione teorica che arriverà a maturità solo in un futuro non prossimo. Ma è solo iniziando a camminare che si cominciano a tracciare strade percorribili.

lunedì 24 dicembre 2018

Il demos, il Duce e la crisi

Ovvero: del «pericolo fascista» come diversivo per un golpe annunciato

Il Lato Cattivo

   Pietà! Non se ne può più di tutto questo blaterare di fascismo e di fantomatici come-back del fascismo. A vedere tutti questi leccaculo vecchi e nuovi – gli Scalfari e i Mughini, le Murgia e le Fornero – agitarsi come isterici su giornali e televisioni, viene quasi voglia di difenderlo, questo dannato governo gialloverde! Ma questi sinceri democratici dove hanno vissuto, di grazia, negli ultimi vent'anni? Si sono forse scandalizzati quando la Troika otteneva la resa incondizionata di Syriza, stracciando contestualmente il risultato del referendum contro il piano di salvataggio? Hanno forse detto «bao» quando il generale Sisi e i suoi compari mettevano fine, con l'implicito benestare del FMI, all'unico governo democraticamente eletto nella storia dell'Egitto? Si sono forse indispettiti quando il duetto fra Unione Europea e spread faceva cadere l'ultimo governo Berlusconi, uscito comunque dalle urne, per sostituirlo con quello dei tecnici capitanati dal signor Monti, che non era stato eletto da nessuno? Tre autentici putsch che, come si vede, si fanno sempre più sovente in guanti di velluto, e quand'anche siano accompagnati da spargimenti di sangue (vedi in Egitto) sono attuati con le migliori intenzioni democratiche. Dopo la «guerra umanitaria» e altri ossimori dal retrogusto orwelliano, dovremo prendere atto dell'esistenza di un altro sorprendente ibrido: il golpe democratico. Così va il mondo: i governi si mantengono o cadono a seconda della solerzia con cui onorano i diktat del capitale mondiale. Diceva un tale che ci sono molti modi per uccidere un uomo. Lo stesso vale per i governi.

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domenica 25 novembre 2018

Alcune precisazioni sull'anti-lavoro

Bruno Astarian 

«[...] l'anti-lavoro dev'essere distinto dall'ordinario rifiuto del lavoro. Quest'ultimo si inscrive nella resistenza quotidiana dei proletari di tutte le epoche; fa parte dei loro mezzi di sopravvivenza di fronte alla noia e allo sfinimento del lavoro sotto padrone. Il proletario preferisce lavorare meno, o addirittura non lavorare, ogni volta che gli sia possibile. È l’effetto dell'esteriorità del lavoro salariato rispetto al lavoratore. Oggi, il rifiuto del lavoro è praticato a livelli di massa, e nei centri dell'accumulazione il welfare gli viene incontro. Tenuti in debito conto il carattere massivo della disoccupazione e le condizioni molto dure del lavoro post-fordista, il turn-over dei proletari fra disoccupazione (indennizzata, anche se malamente) e lavoro (insostenibile a lungo termine) è un fatto positivo per il capitale. D'altronde, anche i capitalisti più conservatori cominciano a riflettere sull'introduzione di un reddito universale. [...] la messa in prospettiva storica di alcune pratiche di lotta in fabbrica, come il sabotaggio, l'assenteismo e l'indisciplina in generale, rivela una trasformazione del contenuto di queste pratiche da pro-lavoro in anti-lavoro. È necessario periodizzare la storia del sabotaggio, che non ha sempre avuto una valenza anti-lavoro. Pervenuto a un certo grado di dequalificazione, il lavoro giunge a contrapporsi a se stesso nella misura in cui si oppone al capitale. Questo anche nelle sue lotte quotidiane. Il sabotaggio diventa irrispettoso dei mezzi di produzione, e distrugge ciò che consentiva ai sabotatori di lavorare. Pouget non arriva a tanto: egli era immerso in una cultura operaia che l'anti-lavoro odierno, allargandosi in anti-proletariato, rigetta alla stessa stregua del lavoro. Le vecchie pratiche, in apparenza molto radicali, vanno riconsiderate nell'ottica del superamento del movimento operaio tradizionale. Pouget e Lafargue costituiscono un esempio di autori ancora frequentemente citati da commentatori che, per un altro verso, rivendicano l'auto-negazione del proletariato e il superamento del lavoro. Ciò non è coerente.» 

giovedì 27 settembre 2018

Il ménage à trois della lotta di classe (II episodio)

Per una teoria della classe media salariata

B. A. & R. F.

«Come abbiamo scritto nel primo episodio (Lucciole e lanterne), è nostra convinzione che sia possibile definire in maniera teorica la classe media salariata (CMS). Tale definizione consiste nel porre questa categoria della popolazione all'interno della meccanica di riproduzione del rapporto proletariato/capitale. La CMS esercita una funzione organica dentro questa riproduzione. Essa non è soltanto uno strato sociale, definito in maniera per forza di cose imprecisa dal suo tenore di vita, che sarebbe prossimo tanto a quello del proletariato quanto a quello della borghesia. Il capitale ha bisogno della CMS, e fa quanto è necessario a riprodurla affinché essa possa sempre assolvere alla sua funzione. Si tratta dunque di comprendere la posizione e il ruolo della CMS nella produzione e nella circolazione del plusvalore.»

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lunedì 16 luglio 2018

Storia normativa ed essenza comunista del proletariato

Una critica del testo di Gilles Dauvé, Quando muoiono le insurrezioni. 1917-1937

Théorie Communiste (2000)  

«Intendiamoci: siamo assolutamente d'accordo con la concatenazione degli eventi presentata da Dauvé, sia a proposito della Germania che della Spagna (qualche riserva la manteniamo sulla Russia). La sua concezione della rivoluzione comunista è in tutto e per tutto la nostra, tanto in merito al contenuto e alle misure comuniste, quanto pure alla sua comprensione come comunizzazione e non come precondizione della comunizzazione stessa. Il punto su cui divergiamo profondamente, è la comprensione del corso della lotta di classe in quanto giustapposizione di un principio comunista dato, conosciuto insieme all'essere stesso del proletariato, e di una storia che si limita a esprimere tale principio in maniera parziale, confusa o abortita. Non è qui una questione di metodo dell’analisi storica, né si tratta di una querelle tra filosofi della storia. Come sempre, è in gioco la comprensione del periodo attuale. Il metodo di Dauvé rende impossibile la comprensione del superamento del programmatismo, ovvero del superamento della rivoluzione come affermazione del proletariato. La rivoluzione comunista, così come la possiamo concepire oggi, così come si presenta nel ciclo di lotte attuale, per Dauvé esiste già (limitata, abortita, con errori, illusioni etc.) nella rivoluzione russa, nella rivoluzione tedesca, nella rivoluzione spagnola.»

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giovedì 14 giugno 2018

Quando muoiono le insurrezioni. 1917-1937

Gilles Dauvé (1999)

   «1917-1937: vent’anni che hanno fatto tremare il mondo. Lo strascico degli orrori del fascismo, la Seconda guerra mondiale e gli sconvolgimenti che ne seguirono, furono l’effetto di una gigantesca crisi sociale, apertasi con le insurrezioni del 1917 e chiusa dalla Guerra di Spagna.»

Indice: 1. Brest-Litovsk 1917-1939; 2. «Fascismo e grande capitale»; 3. Roma 1919-1922; 4. Torino 1943; 5. Volksgemeinschaft contro Gemeinwesen; 6. Berlino 1919-1933; 7. Barcellona 1936; 8. Barcellona, maggio 1937; 9. La guerra divora la rivoluzione; 10. Degli anarchici al governo?; 11. Il fallimento delle collettivizzazioni; 12. Collettivizzare o comunizzare?; 13. Un bilancio.

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giovedì 22 marzo 2018

«Il Lato Cattivo»: chi siamo (3.0)

   [...] È nostra convinzione che la società attuale – il modo di produzione capitalistico (MPC) – sia essenzialmente strutturata dalle funzioni, reciprocamente dipendenti, di capitale, da una parte, e lavoro salariato produttivo di plusvalore (e quindi di capitale), dall'altra. Queste due funzioni essenziali fondano l'esistenza di due classi fondamentali, proletariato e classe capitalista, il cui conflitto – per quanto possa essere larvato e quasi impercettibile per la maggior parte del tempo – è nondimeno costante e, in quanto tale, costituisce la dinamica e la vita stessa del modo di produzione capitalistico. Questo tipo di conflitto, che senza alcun pathos particolare definiamo «lotta di classe», non è in sé e per sé nulla di speciale: è semplicemente la pressione che ogni classe esercita sull’altra per una più larga appropriazione del prodotto sociale, e quindi – nel MPC – una lotta attorno alla posizione del cursore che separa la massa dei salari e quella dei profitti. Questa lotta è, allo stesso titolo, la dinamica di tutti i modi di produzione esistiti fino ad oggi, e fornisce la chiave di comprensione della loro successione storica. Lo sfruttamento di una classe da parte di un'altra è la contraddizione che muove la storia [...]. E nondimeno questa contraddizione perviene – nella sua versione capitalistica – al suo stadio ultimativo, all'interno del quale essa diventa teoricamente pensabile e praticamente superabile. Affermare questo significa che essa potrà ancora perpetuarsi, riformularsi e ristrutturarsi all'interno del modo di produzione capitalistico, oggi arci-dominante su scala mondiale, ma che non potrà accedere ad alcuna forma diversa e superiore, dunque post-capitalistica, di sfruttamento del lavoro. È questa la ragione per cui, diversamente dai modi di produzione anteriori – ad esempio il modo di produzione feudale, che ha generato internamente, dalle proprie viscere, la struttura essenziale del mondo di oggi – il modo di produzione capitalistico non può dare vita, al proprio interno, ad alcun embrione di un nuovo modo di produzione. Il suo superamento possibile non si apparenta perciò in nulla alle transizioni da un modo di produzione all'altro storicamente conosciute, configurandosi piuttosto come una rottura totale, senza precedenti, un autentico cambiamento di paradigma nella storia umana: generazione per via necessariamente violenta e insurrezionale di un mondo senza classi né Stati, in quanto privo di sfruttamento.

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lunedì 22 gennaio 2018

Ti ricordi?

A cent'anni dall'Ottobre russo: la questione dell'internazionalismo

Il Lato Cattivo

    «C'è chi immagina che l'esperienza storica dell'Ottobre 1917 sia ancora e sempre pregna di mirabolanti lezioni da impartire al presente, in primis riguardo alla "necessità del partito"... o della democrazia nel partito... o della non-democrazia nel partito (non ebbe forse ragione Lenin, solo contro tutti, sostenendo le Tesi di Aprile?); o, all'opposto, riguardo alle ragioni per cui la forma-partito o l'idea comunista tout court debbano necessariamente tramutarsi in un nuovo dominio... Insomma, ce n'è per tutti i gusti. Potendo disporre di una macchina del tempo, sarebbe interessante spedire tutti questi cultori della Historia Magistra Vitae proprio nella Russia del 1917, per vedere allora quanto poco il senno di poi sarebbe loro di conforto. Alcuni di costoro si scannano ancora per sapere esattamente in quale anno-mese-giorno le cose hanno cominciato a buttar male per la rivoluzione. Nel '21 (NEP)? Nel '24 (morte di Lenin)? Nel... (compilare a piacere, ndr)? Verità al di qua dei Pirenei, errore al di là. Poi arriva il solito anarchico impolverato, con l'aria di quello a cui non la si dà a bere: "...e Kronstadt???". Ecco un piccolo campionario dei temi e dei dibattiti che non appaiono in questo breve testo, se non per l'unico uso che oggi se ne può fare: lo scherzo. […]
    «I famosi “problemi” che l'umanità si pone solo allorché può risolverli, poiché “si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali esistono già o almeno sono in formazione” […], costituiscono un divenire in cui non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume, ovvero non ci si confronta mai con gli stessi problemi. La concezione materialistica della storia non si propone di salvare il passato in quanto tale – foss'anche quello di un evento inaudito – e nemmeno le sue promesse o speranze, ma di isolare quei famosi “problemi”, ricondurli alle loro condizioni materiali, esistenti o in formazione, comprendere in che modo potevano essere e sono stati effettivamente risolti, e valutare infine se sono ancora i nostri problemi.
    «È a partire da questo punto di vista che oggi può essere proficuo ritornare sull’Ottobre. Si può abbordare la questione sotto vari aspetti; in queste poche righe, insisteremo su quello che ci preme maggiormente: la questione dell'internazionalismo. Perché ci si può girare intorno finché si vuole, ma alla fine una conclusione si impone: la rivoluzione proletaria del 1917-'21 è ancora una rivoluzione nazionale. È solo come tale – cioè in quanto passibile di imporsi, ancorché provvisoriamente, su un dato territorio nazionale – che essa poteva ambire a internazionalizzarsi. [...]»

In appendice: Guy Sabatier, Brest-Litovsk 1918; Gilles Dauvé e Karl Nesic, Russia 1917-1921.

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