Il comunismo è e rimane l'unica prospettiva di superamento positivo della società capitalistica. Ma quest'ultima, malgrado le sue traversie, pare divenuta un orizzonte insuperabile, e le forze protese al suo abbattimento sono oggi ridotte alla clandestinità e alla dispersione, se non al disorientamento. L'epoca del movimento operaio tradizionale, delle transizioni socialiste e dei loro programmi si è da tempo conclusa. Il patrimonio delle lotte e delle correnti teoriche del passato richiede un riesame profondo per separare ciò che è vivo da ciò che è morto. Il rapporto intercorrente tra le lotte quotidiane del proletariato, i movimenti interclassisti di massa dell'ultimo decennio e la rottura rivoluzionaria possibile appare più enigmatico che mai. La teoria comunista richiede nuovi sviluppi, per essere restaurata nelle sue funzioni. La necessità di affrontare questi nodi ci interpella in prima persona, come dovrebbe interpellare tutti i sostenitori del «movimento reale che abolisce lo stato di cose presente». I nostri mezzi sono a misura alle nostre forze: modesti. Impossibile in queste condizioni pretendere di essere i fautori unici e infallibili di una rifondazione teorica che arriverà a maturità solo in un futuro non prossimo. Ma è solo iniziando a camminare che si cominciano a tracciare strade percorribili.

martedì 19 settembre 2023

La Rivoluzione Americana (II)

La George Floyd Rebellion, a distanza di tempo

Jason E. Smith

«[...] Queste tendenze verso la disoccupazione e la sottoccupazione, rispetto ai lavoratori bianchi, così come la più generale segmentazione del mercato del lavoro lungo linee razziali – con i lavoratori neri assegnati in modo sproporzionato alle occupazioni nei servizi a basso salario – creano a volte fratture insormontabili all'interno della classe lavoratrice, poiché i lavoratori sono divisi per settori, luoghi di lavoro, competenze, e così via. Queste divisioni, e la tendenza generale alla frammentazione e alla divergenza descritta sopra, rendono particolarmente difficile organizzare i lavoratori nelle potenti organizzazioni tipiche del periodo della rapida industrializzazione degli Stati Uniti (un fenomeno, ripetiamo, legato ad un contesto di depressione economica e guerra globale). Soprattutto, rendono possibile, e persino incoraggiano i lavoratori bianchi a differenziarsi dalle loro controparti nere, con le quali per altri versi spesso condividono molto. I lavoratori bianchi si trovano spesso contrapposti ai lavoratori neri dal mercato del lavoro, anche e soprattutto quando sono costretti a competere per specifici tipi di impiego nel settore dei servizi. Il razzismo anti-nero è una costante della vita americana. Ma è innegabile che il razzismo particolarmente virulento degli ultimi trent’anni, incluso quello aperto e molto finemente articolato degli ex-liberals della classe dominante (si pensi al ruolo giocato dalla retorica sui «super-criminali» nel Partito Democratico degli anni '90) trovi le sue radici in queste trasformazioni strutturali.»

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