Il comunismo è e rimane l'unica prospettiva di superamento positivo della società capitalistica. Ma quest'ultima, malgrado le sue traversie, pare divenuta un orizzonte insuperabile, e le forze protese al suo abbattimento sono oggi ridotte alla clandestinità e alla dispersione, se non al disorientamento. L'epoca del movimento operaio tradizionale, delle transizioni socialiste e dei loro programmi si è da tempo conclusa. Il patrimonio delle lotte e delle correnti teoriche del passato richiede un riesame profondo per separare ciò che è vivo da ciò che è morto. Il rapporto intercorrente tra le lotte quotidiane del proletariato, i movimenti interclassisti di massa dell'ultimo decennio e la rottura rivoluzionaria possibile appare più enigmatico che mai. La teoria comunista richiede nuovi sviluppi, per essere restaurata nelle sue funzioni. La necessità di affrontare questi nodi ci interpella in prima persona, come dovrebbe interpellare tutti i sostenitori del «movimento reale che abolisce lo stato di cose presente». I nostri mezzi sono a misura alle nostre forze: modesti. Impossibile in queste condizioni pretendere di essere i fautori unici e infallibili di una rifondazione teorica che arriverà a maturità solo in un futuro non prossimo. Ma è solo iniziando a camminare che si cominciano a tracciare strade percorribili.

domenica 25 novembre 2018

Alcune precisazioni sull'anti-lavoro

Bruno Astarian 

«[...] l'anti-lavoro dev'essere distinto dall'ordinario rifiuto del lavoro. Quest'ultimo si inscrive nella resistenza quotidiana dei proletari di tutte le epoche; fa parte dei loro mezzi di sopravvivenza di fronte alla noia e allo sfinimento del lavoro sotto padrone. Il proletario preferisce lavorare meno, o addirittura non lavorare, ogni volta che gli sia possibile. È l’effetto dell'esteriorità del lavoro salariato rispetto al lavoratore. Oggi, il rifiuto del lavoro è praticato a livelli di massa, e nei centri dell'accumulazione il welfare gli viene incontro. Tenuti in debito conto il carattere massivo della disoccupazione e le condizioni molto dure del lavoro post-fordista, il turn-over dei proletari fra disoccupazione (indennizzata, anche se malamente) e lavoro (insostenibile a lungo termine) è un fatto positivo per il capitale. D'altronde, anche i capitalisti più conservatori cominciano a riflettere sull'introduzione di un reddito universale. [...] la messa in prospettiva storica di alcune pratiche di lotta in fabbrica, come il sabotaggio, l'assenteismo e l'indisciplina in generale, rivela una trasformazione del contenuto di queste pratiche da pro-lavoro in anti-lavoro. È necessario periodizzare la storia del sabotaggio, che non ha sempre avuto una valenza anti-lavoro. Pervenuto a un certo grado di dequalificazione, il lavoro giunge a contrapporsi a se stesso nella misura in cui si oppone al capitale. Questo anche nelle sue lotte quotidiane. Il sabotaggio diventa irrispettoso dei mezzi di produzione, e distrugge ciò che consentiva ai sabotatori di lavorare. Pouget non arriva a tanto: egli era immerso in una cultura operaia che l'anti-lavoro odierno, allargandosi in anti-proletariato, rigetta alla stessa stregua del lavoro. Le vecchie pratiche, in apparenza molto radicali, vanno riconsiderate nell'ottica del superamento del movimento operaio tradizionale. Pouget e Lafargue costituiscono un esempio di autori ancora frequentemente citati da commentatori che, per un altro verso, rivendicano l'auto-negazione del proletariato e il superamento del lavoro. Ciò non è coerente.»