Il comunismo è e rimane l'unica prospettiva di superamento positivo della società capitalistica. Ma quest'ultima, malgrado le sue traversie, pare divenuta un orizzonte insuperabile, e le forze protese al suo abbattimento sono oggi ridotte alla clandestinità e alla dispersione, se non al disorientamento. L'epoca del movimento operaio tradizionale, delle transizioni socialiste e dei loro programmi si è da tempo conclusa. Il patrimonio delle lotte e delle correnti teoriche del passato richiede un riesame profondo per separare ciò che è vivo da ciò che è morto. Il rapporto intercorrente tra le lotte quotidiane del proletariato, i movimenti interclassisti di massa dell'ultimo decennio e la rottura rivoluzionaria possibile appare più enigmatico che mai. La teoria comunista richiede nuovi sviluppi, per essere restaurata nelle sue funzioni. La necessità di affrontare questi nodi ci interpella in prima persona, come dovrebbe interpellare tutti i sostenitori del «movimento reale che abolisce lo stato di cose presente». I nostri mezzi sono a misura alle nostre forze: modesti. Impossibile in queste condizioni pretendere di essere i fautori unici e infallibili di una rifondazione teorica che arriverà a maturità solo in un futuro non prossimo. Ma è solo iniziando a camminare che si cominciano a tracciare strade percorribili.

mercoledì 9 dicembre 2015

Punk Islam

Dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre

Il Lato Cattivo

Con buona pace tanto di Hollande che di Al-Baghdādī, nessuno scontro fra civiltà eterogenee e irriducibili l'una all'altra è in corso, ma nient'altro che uno scontro intestino, che mostra una volta di più la plasticità di un modo di produzione – quello capitalistico – che sebbene trovi nella democrazia parlamentare la sua traduzione politica più adeguata, è capace di adagiarsi, almeno in via contingente, su quasi tutte le forme di governo, di organizzazione politica e di ideologia, masticando, digerendo e rimettendo in circolazione ogni tipo di materiale o sedimentazione storico-sociali. [...] I kalashnikov di Daesh sono la «follia» di un mondo la cui «ragione» è un F-16. Ora, ribadire simili verità è sacrosanto, ma è d'altronde il «minimo sindacale»: a questo stadio, non abbiamo – nel migliore dei casi – fatto che enunciare delle generalità, ancora al di qua di una vera analisi materialistica di ciò che si sta svolgendo sotto i nostri occhi, qui da noi come in Medio Oriente. Limitarsi a questo, servirà al massimo a scandire qualche scialbo slogan, utile, nel migliore dei casi, a épater la bourgeoisie.

sabato 31 ottobre 2015

A proposito di «Ai nostri amici»

R. F.

Il testo che segue è una critica di Ai nostri amici, l'ultima impresa editoriale del Comitato Invisibile. Teniamo ad avvertire il lettore che tale critica non sarà assolutamente esaustiva, giacché il testo in questione meriterebbe di essere decrittato in maniera assai più profonda di quanto si possa fare nello spazio di poche pagine; ci limiteremo dunque ad esaminare alcuni dei postulati fondamentali che ci sembrano costituire il nucleo teorico del libro.
Ai nostri amici rappresenta un buon esempio di come un bricolage concettuale conservatore possa spacciarsi per rivoluzionario; farne la critica non è un'impresa agevole, tanto più che l'opera in sé è a prima vista densa, perfino sovraccarica. Ciononostante, dopo un'attenta lettura, ci si accorge che il suo cuore pulsante si riduce ad una manciata di deboli proposizioni, che potrebbero passare perfettamente inosservate nel magma all'interno del quale galleggiano.

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[Ora disponibile anche in formato cartaceo. È possibile ordinarlo scrivendo a il.lato.cattivo@gmail.com]  

mercoledì 26 agosto 2015

Sul metodo del «Capitale»

Preceduto da un'introduzione redazionale: «Metodo dialettico: un grosso malinteso?»

Roman Rosdolsky (1968)

[...] Ora, la domanda che bisogna porsi – e che in pochi si sono posti – è appunto se sia legittimo prendere per oro colato ciò che Marx ed Engels pensano o dicono di aver fatto della dialettica hegeliana. C'è naturalmente chi pensa di sì, e qui sta tutto il limite dell'approccio del genere «invarianza del marxismo», che è quello di voler salvare capra e cavoli, lasciando nell'indeterminato i nodi appena evidenziati: quanti metodi dialettici? metodo d'indagine o d'esposizione? struttura del pensiero o delle cose? delle cose naturali o delle cose sociali? Noi viceversa rispondiamo negativamente e cercheremo di spiegare perché [...]. (Dall'introduzione redazionale)

venerdì 29 maggio 2015

Due parole su Expo e il 1° Maggio milanese

Il Lato Cattivo

Il rapido sgonfiarsi delle velleità di Syriza e un timido accenno di ripresa economica in USA ed Unione Europea – ripresa ben reale, ma dettata soprattutto dall'abbassamento del prezzo del petrolio e dalla svalutazione dell'Euro – permettono ai buffoni di corte di gridare nuovamente al miracolo: l'uscita dalla crisi sarebbe dietro l'angolo. In verità, il break non è che momentaneo: il buon Michael Roberts, nelle sue Predictions for 2015, preconizza un'ultima altalena (ripresa-recessione-ripresa) prima che il ciclo di Kondrat'ev tocchi il suo punto più basso verosimilmente nel 2018. Ciò che è perfettamente plausibile. Intanto, nell'immediato, i tempi restano movimentati da improvvise fiammate: in primis, le rivolte del proletariato nero negli Stati Uniti (Ferguson e Baltimora) e di quello ebraico-etiopico in Israele. Qui ci occuperemo però del corteo del 1° Maggio a Milano, non fosse che per evidenti ragioni di prossimità geografica. Le letture fatte a caldo da protagonisti e osservatori partecipi della manifestazione milanese, sono state numerose e variegate (cfr. l'Appendice): abbiamo tentato di effettuarne una sintesi... di parte.

martedì 21 aprile 2015

Le classi

Intervention Communiste (1973)

Il movimento comunista non può essere còlto come un movimento positivo che si oppone al movimento del capitale: esso è viceversa il movimento pratico delle contraddizioni del capitale. Il comunismo non conquista alcun terreno, alcun settore, finché il capitale esiste: la sua vittoria non può che essere totale; esso non conquista delle riforme che il capitale in seguito si incaricherebbe di erodere, ma non fa che organizzarsi all’interno della sua contraddizione comunista, non fa che gestire – saremmo tentati di dire – la caducità del valore. Non è dunque questione di «conquiste del movimento comunista». Fondamentalmente, non possono esistere «settori della gratuità», anche se alcuni settori possono ben diventare gratuiti. Se la logica mercantile regna in un settore, essa non può che regnare ovunque.

lunedì 16 marzo 2015

Falsa attualità del luddismo

Note di lettura su Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra di E. P. Thompson 

Bruno Astarian (2005)

[...] il luddismo non fu in nulla una reazione spontanea e incontrollata contro le macchine in quanto tali. Talvolta, esso si manifestò in situazioni in cui nessuna nuova macchina era stata introdotta – e fu allora, chiaramente, una reazione d'opposizione alla diffusione di nuovi rapporti tra padroni e operai, indipendentemente da ogni problema tecnologico. E anche quando, in effetti, si trattò dell'introduzione di nuove macchine, la violenza contro di esse non può essere in alcun modo confusa col rifiuto del lavoro e col sabotaggio dell'operaio-massa moderno, nella misura in cui la rivolta dei ludditi non si volse contro i ritmi di lavoro imposti dalle nuove macchine, ma contro la dequalificazione e la disoccupazione che esse portavano con sé. Inoltre, i ludditi non distruggono le macchine sulle quali essi stessi lavorano, ma quelle presenti in altri luoghi di lavoro, dove i padroni le impongono e/o gli operai le accettano. Infine, abbiamo visto come il luddismo sia una pratica che, per quanto violenta, è nondimeno estremamente organizzata e ben ponderata, e in costante rapporto dialettico con l'attività clandestina politica e sindacale [...]

venerdì 20 febbraio 2015

L'organizzazombie


Risposta a tutti gli "Istituto Onorato Damen" di ieri, di oggi e di domani

Il Lato Cattivo

Di tanto in tanto, a intervalli più o meno regolari, salta fuori qualche allegra banda di furboni che – spinti generalmente da letture frettolose, da un certo politicantismo, nonché dal fatto di essersi incautamente auto-investiti del ruolo di «guide» della riscossa proletaria (un po' alla maniera del mandato divino per i sovrani dell'ancien régime) – provano a cimentarsi nella critica di ciò che indubbiamente deve sembrar loro un grande pericolo controrivoluzionario al soldo della borghesia: la teoria della comunizzazione. Ecco dunque il turno della rivista «DemmeD'», pubblicazione dell'Istituto Onorato Damen, che nel numero di gennaio 2015 comprende, fra gli altri, un curioso articolo dal titolo La comunizzazione tra teoria e prassi, idealismo ed evanescenza. Lo pubblichiamo qui integralmente, non solo per condividere con i nostri lettori l'ilarità che ha suscitato in noi, ma anche quale fulgido esempio dell'avanzato stato di decomposizione della corrente che lo ha partorito. Alleghiamo all'articolo, non già una critica – poiché, dati i toni e i contenuti, sarebbe fargli troppo onore – ma giusto qualche riflessione a margine (di cui speriamo non sfugga l'ironia) sul dramma – troppo spesso ignorato dalle istituzioni, dalla società civile e dai media – dell'essere zombie nella società contemporanea, che valga come replica a tutti gli «Istituto Onorato Damen» di ieri, di oggi e di domani. Serie televisive come Deathset, fumetti come The Walking Dead e ovviamente film come La Notte dei Morti Viventi, hanno già in parte sdoganato il soggetto. Ma il problema dei morti viventi che si aggirano nelle nostre città va ancora a sbattere, il più delle volte, contro il muro dell'indifferenza... e ciò è ancor più vero per le organizzazombie – organizzazioni e raggruppamenti politici di zombie con pretese «rivoluzionarie» – che languono ai margini della società. Ma è tempo di sollevare la questione! Nonostante tutto, sono (stati) esseri umani anche loro!

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sabato 7 febbraio 2015

Kurdistan?

G. D. & T. L. 

[Pubblichiamo questo testo, apparso originariamente in francese sul sito DDT21 e tradotto a cura della nostra redazione, a mo' di integrazione del nostro «Questione curda», Stato Islamico, USA e dintorni]


In diverse regioni del mondo, i proletari sono condotti ad un'autodifesa che passa attraverso l'autorganizzazione [...]. Nel Rojava, l'autorganizzazione ha portato (o può portare) da una necessità di sopravvivenza a un rovesciamento dei rapporti sociali? 
[...] Dopo l'esplosione dell'Iraq in tre entità (sunnita, sciita e curda), la guerra civile ha liberato in Siria un territorio dove l'autonomia curda ha preso una forma nuova. Un'unione popolare (vale a dire transclassista) si è costituita per gestire questo territorio e difenderlo contro una minaccia militare: lo Stato Islamico ha funzionato come elemento di rottura. Nella resistenza si intrecciano antichi legami comunitari e nuovi movimenti, in particolare di donne, attraverso un'alleanza di fatto tra proletari e classi medie, con la «nazione» a fare da collante: dopo un soggiorno in Rojava alla fine del 2014, Janet Biehl, pur ritenendo che vi si stia sviluppando una rivoluzione, scrive che «la trasformazione che si svolge nel Rojava riposa in una certa misura su un'identità curda radicale e su una forte partecipazione delle classi medie che, a dispetto di un discorso radicale, mantengono sempre un certo interesse alla perpetuazione del capitale e dello Stato. 

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giovedì 8 gennaio 2015

Gli inizi del movimento operaio in Russia

Denis Authier (1969)

[Prefazione a Leone Trotsky, Rapporto della delegazione siberiana. La concezione del partito proletario in una polemica di Trotsky contro Lenin al II Congresso del POSDR, Edizioni della Vecchia Talpa, Napoli 1970

[...] Per Lenin (come per Kautsky), il proletariato era spontaneamente trade-unionista; per gli «economisti» esso sarebbe dovuto restare a questo livello in Russia per un lungo periodo. Lenin concludeva dalla sua premessa che il compito degli intellettuali rivoluzionari era d'apportare la coscienza socialista, politica, al proletariato; ciò significava che all'epoca (prima della rivoluzione borghese), essi dovevano prendere la direzione politica di questa classe e farla entrare nella lotta generale contro lo zarismo. «Lotta politica» non aveva altro contenuto che lotta antifeudale, lotta borghese. Questa lotta era necessaria, ma non aveva niente da vedere con il movimento rivoluzionario specifico del proletariato che è politico solo nella misura in cui deve battersi contro la potenza politica, cioè, il potere della classe borghese. È il suo avversario che determina il carattere politico della lotta; da se stesso, il movimento del proletariato tende all'abolizione della politica.