Il comunismo è e rimane l'unica prospettiva di superamento positivo della società capitalistica. Ma quest'ultima, malgrado le sue traversie, pare divenuta un orizzonte insuperabile, e le forze protese al suo abbattimento sono oggi ridotte alla clandestinità e alla dispersione, se non al disorientamento. L'epoca del movimento operaio tradizionale, delle transizioni socialiste e dei loro programmi si è da tempo conclusa. Il patrimonio delle lotte e delle correnti teoriche del passato richiede un riesame profondo per separare ciò che è vivo da ciò che è morto. Il rapporto intercorrente tra le lotte quotidiane del proletariato, i movimenti interclassisti di massa dell'ultimo decennio e la rottura rivoluzionaria possibile appare più enigmatico che mai. La teoria comunista richiede nuovi sviluppi, per essere restaurata nelle sue funzioni. La necessità di affrontare questi nodi ci interpella in prima persona, come dovrebbe interpellare tutti i sostenitori del «movimento reale che abolisce lo stato di cose presente». I nostri mezzi sono a misura alle nostre forze: modesti. Impossibile in queste condizioni pretendere di essere i fautori unici e infallibili di una rifondazione teorica che arriverà a maturità solo in un futuro non prossimo. Ma è solo iniziando a camminare che si cominciano a tracciare strade percorribili.

giovedì 28 febbraio 2013

La catena di montaggio inizia in cucina, al lavello, nei nostri corpi

Intervista a Silvia Federici

   Rendiamo qui disponibile, in traduzione, una breve intervista a Silvia Federici, pubblicata di recente in spagnolo, e incentrata sulla sua opera più conosciuta Caliban and the Witch (2004), a sua volta rielaborazione del più vecchio Il Grande Calibano (1984), scritto in italiano con Leopoldina Fortunati. [...]
Ci proponiamo di rendere presto disponibile su questo blog Il Grande Calibano, ed è precisamente a scopo propedeutico che pubblichiamo questa intervista. Ciò corrisponde alla nostra volontà di sviluppare, sulla lunga distanza, un discorso articolato sui temi della riproduzione (dei rapporti sociali capitalistici), del femminismo e del genere. La continua e inesausta messa a fuoco della definizione del capitale – come rapporto sociale, come totalità e come contraddizione in processo – non può prescindere dalla comprensione di ciò che sono il valore e il plusvalore (la contraddizione proletariato-capitale), ma non si può più pensare che sia sufficiente fermarsi là. Il fatto è che qualcosa di non tematizzato, perfino di rimosso, di non immediatamente riconducibile al plusvalore, ma che riguarda nondimeno le sue condizioni di esistenza, ne cade fuori; e l'emersione del femminismo radicale degli anni '70 ne è stata precisamente l'illuminazione: un lampo nella notte. Tutto ciò fu interpretato allora da marxisti e non marxisti – anche dai più lucidi – come una deviazione modernista, preludio al post-modernismo ideologico degli anni '80 e '90: come un ostacolo in più, insomma, sulla strada lunga e dura dell'unità di classe e della rivoluzione proletaria. È tempo di ammetterlo: fu un errore. [Tratto dall'introduzione redazionale]