Comitato operaio di Porto Marghera (1969)
Con una introduzione redazionale e un'appendice critica comprendente estratti dall'IS e da «Théorie Communiste».
[...] se
Toni Negri e compagnia hanno avuto, nonostante tutto, un certo ruolo
negli anni '60-'70, come nel periodo d'oro dei contro-vertici e del
“Movimento dei Movimenti” – ruolo certo ridimensionato ma non
esaurito – questo non si deve ad un complotto, né ad una semplice
questione di mode culturali. Dunque non si tratta, più di tanto, di
stigmatizzare i personaggi (alla voce “dissociazione” o giù di
lì) o le loro sparate (Marx
oltre Marx
o Impero
o...) in nome della pravda
comunista, ma di mostrare in virtù di cosa certe sparate divengono
possibili e ideologicamente efficaci. L'operaismo
e il post-operaismo negrista sono, abbastanza evidentemente,
l'inverso dell'economismo oggettivista. È
precisamente lo statuto di questa inversione
che si tratta di interrogare.
Da
Lenin
in Inghilterra
(«Classe operaia», n.1, 1964) in poi, l'ingiunzione operaista
fondamentale è stata quella del rovesciamento del punto di vista:
non sono le lotte che seguono lo sviluppo (o la crisi) dell'economia
capitalista, è lo sviluppo (o la crisi) a seguire le lotte. Questa
esigenza di porre in primo piano i soggetti non cadeva dal cielo, né
proveniva solo dal beneamato “contesto storico”, fosse il
formidabile ciclo di accumulazione post-bellico o il terzomondismo
attendista del PCI. Ciò che è in un certo senso nell'aria, in quel
periodo, è evidentemente la percezione – avvertita da più parti –
di un nodo irrisolto della vecchia teoria marxista: realtà o
illusione dei fenomeni economici? Questione in un certo
senso implicita nella definizione di base del rapporto capitalistico:
se infatti il capitale è un rapporto sociale, non è logico, allora,
intendere
il dominio separato dell'economia come un sistema di rappresentazioni
menzognere?