Il comunismo è e rimane l'unica prospettiva di superamento positivo della società capitalistica. Ma quest'ultima, malgrado le sue traversie, pare divenuta un orizzonte insuperabile, e le forze protese al suo abbattimento sono oggi ridotte alla clandestinità e alla dispersione, se non al disorientamento. L'epoca del movimento operaio tradizionale, delle transizioni socialiste e dei loro programmi si è da tempo conclusa. Il patrimonio delle lotte e delle correnti teoriche del passato richiede un riesame profondo per separare ciò che è vivo da ciò che è morto. Il rapporto intercorrente tra le lotte quotidiane del proletariato, i movimenti interclassisti di massa dell'ultimo decennio e la rottura rivoluzionaria possibile appare più enigmatico che mai. La teoria comunista richiede nuovi sviluppi, per essere restaurata nelle sue funzioni. La necessità di affrontare questi nodi ci interpella in prima persona, come dovrebbe interpellare tutti i sostenitori del «movimento reale che abolisce lo stato di cose presente». I nostri mezzi sono a misura alle nostre forze: modesti. Impossibile in queste condizioni pretendere di essere i fautori unici e infallibili di una rifondazione teorica che arriverà a maturità solo in un futuro non prossimo. Ma è solo iniziando a camminare che si cominciano a tracciare strade percorribili.

venerdì 13 gennaio 2012

A fair amount of killing

«Théorie communiste» e «Alcuni fautori della comunizzazione»

Il testo che segue fu redatto nel 2003, all'epoca della "seconda" guerra in Iraq. [NdR]

L'attuale guerra in Iraq, in quanto si pone come tappa e momento di accelerazione della globalizzazione della riproduzione del capitale, ha una posta mondiale. In questo riveste le stesse vestigia delle due guerre mondiali che hanno dato forma all’età contemporanea: lì, attraverso il secco ridimensionamento dei poli di accumulazione concorrenti rispetto a quello statunitense, si trattava d’imporre l’egemonia su scala planetaria della forma più avanzata dello sfruttamento capitalistico, maturata sulla base della sanguinosa sconfitta dell’istanza rivoluzionaria posta dal movimento proletario internazionale; qui, il superamento delle sovranità nazionali e delle logiche «geopolitiche» nel governo di una cert’area viene imposto come coronamento logico della controffensiva che il capitale, a partire dagli anni Settanta, ha opposto alle estese insorgenze sociali che, nei centri come nelle periferie, a Est come a Ovest, avevano sconvolto gli assetti regolamentati su base nazionale dal compromesso fordista e che, alla richiesta di sacrifici per «uscire dalla crisi», avevano allegramente risposto che l’Economia meritava soltanto di crepare.