martedì 22 luglio 2014

Lettera sull'antisionismo

R. F.  

[...] Il minimo, non oso nemmeno dire di solidarietà, ma di rispetto che possiamo avere per i proletari palestinesi, ultimi tra gli ultimi, impone in primo luogo di essere lucidi e disillusi sulla situazione attuale, di non trattarli né come dei rincoglioniti che si fanno abbindolare da Hamas, né come dei santi investiti dal Mandato del Cielo Proletario. Cercando – ove possibile, con atti, parole, scritti – di far saltare il dispositivo antisionista, alla stessa maniera in cui cerchiamo di far saltare l'antimondialismo (difesa del capitale nazionale contro il capitale mondializzato, o del capitale industriale contro il capitale finanziario), il pacifismo (rivendicazione della pace capitalista contro la guerra) e tutte le proposte di gestione alternativa del capitale, che fanno parte del corso quotidiano della lotta di classe e allo stesso tempo non permettono in nessun caso di essere semplicemente raddrizzate o radicalizzate (si tratterebbe allora, nel caso che ci occupa, di un antisionismo «di classe» o «rivoluzionario», che è semplicemente una contraddizione in termini). Senza per questo ricadere nell'illusione immediatista di credere che si potrebbe mettere in avanti quella che si chiama, nel gergo politicante, un'alternativa credibile. Il comunismo non è il prodotto di una scelta, è un movimento storico. Con questo approccio ho cercato di affrontare la questione in queste pagine. Fermo restando che, a forza di ragionamenti fatti a colpi di categorie borghesi come «diritto», «giustizia» e «popolo», non solo risulta ormai ben difficile immaginare una soluzione qualsivoglia, ma è diventato quasi impossibile anche soltanto dire cose sensate al riguardo. 

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