Jeanne Neton & Peter Åström
[...] Le lotte contro la
chiusura degli stabilimenti sono un'eccezione a questa regola. In questi casi i
lavoratori non hanno più niente da perdere, e possono reclamare un salario
differito sotto forma di indennità di licenziamento, senza doversi preoccupare
della salute futura della loro impresa. Precedentemente, i dipendenti di queste
aziende teatro di sequestri e di altre azioni illegali, avevano sovente
accettato il peggioramento delle proprie condizioni di lavoro e, a volte, dei
tagli sui salari, nella speranza di scongiurare la chiusura dell'azienda. Ma
quando questa chiusura diventa inevitabile, la rabbia per aver acconsentito a
così tanto per ottenere nulla in cambio, e la coscienza di non aver più nulla
da perdere, si traducono in forme di lotta disperate, nelle quali è chiaro che
il futuro stato di salute dell'azienda non è più una preoccupazione e che tutte
le promesse di riqualificazione non possono sostituire l'unica cosa che rimane
tangibile: la moneta sonante. Queste lotte si sono mostrate efficaci, nella
misura in cui i lavoratori interessati hanno ottenuto degli indennizzi che
vanno ben oltre quelli previsti dalla legge. Così, secondo Christine Ducros e
Jean-Yves Guérin, i dipendenti che ricorrono a tali forme di azione, ricevono
in media un compenso aggiuntivo quattro volte superiore rispetto a quelli che
non lo fanno. Qui, il carattere frazionato delle lotte non è il segno di una loro
intrinseca debolezza, ma piuttosto ciò che ha permesso loro di vincere, giacché
un’eventuale generalizzazione di queste forme di lotta le renderebbe
inaccettabili per la classe capitalista.