venerdì 30 novembre 2012

Lavorando noi operai produciamo capitale

Comitato operaio di Porto Marghera (1969)

Con una introduzione redazionale e un'appendice critica comprendente estratti dall'IS e da «Théorie Communiste».

[...] se Toni Negri e compagnia hanno avuto, nonostante tutto, un certo ruolo negli anni '60-'70, come nel periodo d'oro dei contro-vertici e del “Movimento dei Movimenti” – ruolo certo ridimensionato ma non esaurito – questo non si deve ad un complotto, né ad una semplice questione di mode culturali. Dunque non si tratta, più di tanto, di stigmatizzare i personaggi (alla voce “dissociazione” o giù di lì) o le loro sparate (Marx oltre Marx o Impero o...) in nome della pravda comunista, ma di mostrare in virtù di cosa certe sparate divengono possibili e ideologicamente efficaci. L'operaismo e il post-operaismo negrista sono, abbastanza evidentemente, l'inverso dell'economismo oggettivista. È precisamente lo statuto di questa inversione che si tratta di interrogare.
Da Lenin in Inghilterra («Classe operaia», n.1, 1964) in poi, l'ingiunzione operaista fondamentale è stata quella del rovesciamento del punto di vista: non sono le lotte che seguono lo sviluppo (o la crisi) dell'economia capitalista, è lo sviluppo (o la crisi) a seguire le lotte. Questa esigenza di porre in primo piano i soggetti non cadeva dal cielo, né proveniva solo dal beneamato “contesto storico”, fosse il formidabile ciclo di accumulazione post-bellico o il terzomondismo attendista del PCI. Ciò che è in un certo senso nell'aria, in quel periodo, è evidentemente la percezione – avvertita da più parti – di un nodo irrisolto della vecchia teoria marxista: realtà o illusione dei fenomeni economici? Questione in un certo senso implicita nella definizione di base del rapporto capitalistico: se infatti il capitale è un rapporto sociale, non è logico, allora, intendere il dominio separato dell'economia come un sistema di rappresentazioni menzognere?